Carissimi,
in occasione della prossima Festa Patronale dei nostri santi Patroni Gervaso e Protaso, desidero rivolgere a tutti un pensiero di gratitudine e di speranza:
- di gratitudine per quanti collaborano, con sempre maggiore generosità, alla crescita della nostra Comunità bavenese, nonostante le difficoltà del momento;
- di speranza per tutti coloro che, con coraggio, hanno ripreso in mano la propria vita, impegnandosi al servizio del prossimo, nella convinzione che i problemi, i ritardi e le inevitabili disfunzioni non possono frenare il desiderio di migliorare la qualità della vita dell’intera Comunità.
La Festa Patronale di quest’anno è strettamente connessa alla solennità del Corpus Domini; quindi centrata sulla grande Presenza Eucaristica del Signore, che deve aiutare ciascuno di noi a sentirsi parte attiva della Comunità.
Solo due anni fa (nel marzo del 2020) siamo stati un po’ tutti cattolici non praticanti, non avendo potuto celebrare la Pasqua pubblicamente e neppure la Pentecoste. Ma ora, quando l’aspetto personale della nostra fede ha la possibilità di riprendere in mano la propria spiritualità, ci accorgiamo che la partecipazione alla vita comunitaria, troppo abitudinaria e statica (e spesso anche molto nostalgica di una Chiesa potente e trionfante), sembra correre verso l’eutanasia.
Ma lo Spirito Santo, per fortuna, ci permette di radere al suolo tutte le convinzioni personali che abbiamo verso la Chiesa e verso Dio. In questo anno, abbiamo cercato di farlo anche noi, avviando, a livello comunitario, un Corso Biblico permanente, allo scopo di imparare a conoscere, in maniera più approfondita e corretta, la Parola di Dio.
Per questo motivo, oggi desidero ribadire con maggiore vigore, che, se tutti abbiamo un’idea del Signore (forse costruita a partire dal carattere di ciascuno, dall’esperienza personale e dall’ambiente in cui siamo cresciuti), non è più sufficiente una fede che continua a proiettare su di Lui i nostri bisogni e le nostre speranze. Questo modo di vivere la fede è troppo datato e poco ragionato.
Guardando all’esempio dei nostri Martiri, dobbiamo chiederci, con passione: “Chi è il Dio in cui crediamo?”.
E’ la domanda fondamentale della fede, l’interrogativo che ci costringe a mettere tra parentesi tutto ciò che crediamo di credere, l’invito a conoscere sempre di più quel Dio che Gesù ci racconta nei Vangeli.
Per diventare Comunità di fede viva è importante, allora, liberare la testa da vecchie ed asfittiche convinzioni religiose, per imparare ad ascoltare la testimonianza di quanti hanno incontrato Gesù vivo ed hanno trasmesso a noi le loro esperienze, il che significa cercare con costanza, nella nostra vita, quel tesoro nascosto che è la presenza di Dio. Solo chi accoglie la prospettiva di Gesù incontra un Padre che lo ama e che lo rende capace di amare.
La fede è amore: partecipazione al grande progetto di un Dio che si è rivelato come amore, e per questo apre la porta ad una vita più autentica, gioiosa, intensa. La fede è annuncio di Gesù.
Per questo Papa Francesco (creando qualche malumore e molto scompiglio, ma credo fermamente mosso dallo Spirito), ha chiesto a tutta la Chiesa di interrogarsi e di confrontarsi, alla scopo di orientare la fede verso l’inalterata verità del Vangelo.
E questo anche a noi, perché una Festa Patronale non è veramente comunitaria se non si accorge che il suo compito è proprio quello di annunciare Gesù.
Attraverso la testimonianza dei nostri Santi Martiri, che ancora oggi si rivolgono a tutti i credenti (ma anche ai dubbiosi, perfino agli atei), la nostra Comunità di fede deve saper sfidare tutti ad avviare una propria, originale, ricerca spirituale.
Se Dio c’è (ed è come ce lo racconta la Parola di Gesù), non può che essere nascosto, defilato, ma raggiungibile. E ciascuno di noi ha gli strumenti per diventare esploratore dell’Assoluto. Basta camminare insieme per scoprirlo. Basta lasciare bruciare dallo Spirito ogni paura ed ogni orgoglio. Basta accogliere i doni della sua costante presenza in mezzo a noi per crescere nell’amicizia ed allontanare ogni motivo di divisione.
E’ vero: ogni uomo sperimenta spesso la sera del mondo, della vita, della stanchezza, della delusione, della mancanza di speranza, della fame, anche della guerra. Ma quando il giorno comincia a declinare, quando si fa sera, il Signore resta con noi per nutrirci di sé. E la fede ci aiuta ad accogliere questo dono senza uguali: nell’Eucaristia Dio si fa nostro cibo e nostra vita.
Prendendo a prestito il titolo del libro di un teologo moderno, la nostra Festa Patronale sarà dunque vera e feconda se giungeremo insieme a dire: “Dio c’è ed è bellissimo”.
Auguri a tutti
Don Giuseppe