Duplice festività quella che celebriamo oggi: la festa patronale dei nostri martiri Gervaso e Protaso e la solennità del Corpo e del Sangue del Signore. Ma l’una festa non esclude l’altra, soprattutto se rileggiamo il grandioso inno di Tommaso d’Aquino, che ricerca nei simboli dell’Antico Testamento i segni di un Dio che si fa martire per l’umanità, fino a diventare cibo per l’anima di ogni persona di buona volontà.
Tommaso sottolinea i tre simboli nei quali si compie l’Eucaristia:

  • in Abramo che offre Isacco è anticipato ciò che avviene nella Pasqua di Cristo, quando Dio Padre dona il proprio Figlio ed il Figlio si consegna per la nostra salvezza;
  • nell’agnello della Pasqua, immolato come redenzione del popolo dalla schiavitù dell’Egitto, è anticipato il Cristo, vero Agnello che toglie il peccato del mondo;
  • nella manna data ai padri, a sostegno del lungo cammino verso la libertà, è annunciato il principale Sacramento della nostra fede, pane divino che ci accompagna attraverso le prove della vita.

Ed in tutti questo tre simboli è facile individuare anche il senso di ogni martirio, che è vera e propria testimonianza di fede, cioè capacità di credere anche quando costa la vita. Ieri, per i nostri Patroni (martiri del terzo secoli), oggi per l’ultima carneficina in Nigeria, durante la Messa di Pentecoste. Ieri uccidendo 17 giovani sul lungolago (78 anni fa, proprio la vigilia della Festa Patronale), oggi con le nostre commemorazioni sempre più snobbate dalla maggioranza delle persone, indifferenti o ingrate.
A volte, sembra che molti siano più disposti ad incolpare Dio per il dolore e le sofferenze che ci capitano, forse proprio per giustificare una sempre crescente indifferenza a voler affrontare le responsabilità della vita e capire il vero senso della libertà.
Il dolore provocato dalle guerre, dall’ingiustizia, dai soprusi, da troppa violenza, ha origine appunto dalla scorretta gestione della nostra libertà umana.
E’ questo il martirio moderno: non credere nell’amore di Dio;
anzi tirarlo in ballo per giustificare ogni nostro gesto disumano.
Se ci pensiamo bene, non è poi cambiato dal grido dei crociati, che andavano all’assalto urlando: “Dio lo vuole”; ma neppure dall’urlo dei kamikaze islamici, che si lanciavano sulla folla gridando: “Allah è grande”; e nemmeno dalla oscena scritta incisa sulle fibbie delle cinture delle SS. mentre spingevano gli ebrei nei forni crematori: “Dio è con noi”. Non è cambiato molto, se l’uomo ha sempre cercato in Dio l’ultima giustificazione delle proprie meschinità.
Ieri abbiamo onorato, ancora una volta, accanto ai nostri martiri della fede, i 17 martiri della libertà. E dopo un secolo di orribili carneficine, continuiamo a sperare di riuscire a realizzare, finalmente, un tempo di pace, basato su valori condivisi, aperto all’accoglienza e alla fraternità vera. Invece ci troviamo a sperimentare nuovi conflitti, nuove tensioni, non più legate a visioni religiose del mondo, ma ad interessi politici ed economici, le nuove divinità del XXI° secolo.
E’ il nostro cuore, allora, che va convertito; è la logica del “ciascuno per sé” che deve cambiare, che deve farsi condivisione.
Come è accaduto sul prato della Galilea, a quei 5.00 uomini sfamati con 5 pani e 2 pesci, in quel primo simbolo eucaristico, diventato icona di una fede concreta, solidale e condivisa: una fede comunitaria che cresce proprio nutrendosi dell’amore di Dio.
Si, il cibo che il Signore non ci fa mai mancare è il suo amore, la sua compassione per i più bisognosi, il sostegno per la nostra fede spesso messa alla prova, il segno tangibile della sua presenza accanto a noi per una testimonianza che non deve avere paura di nessun martirio.
Onorare i santi non vuol dire accendere un lumino davanti alla loro effigie, ma emulare il loro coraggio nel testimoniare una fede ricca di un po’ dell’infinito amore di Dio.

Last modified: 26 Giugno 2022
Close