Balcani – La crisi delle cooperative sociali e green
Il Lavoro, Storie dal campo

“Era il 17 marzo: letteralmente, nel giro di una notte, abbiamo perso tutto il nostro mercato. Noi siamo una piccola cooperativa agricola che dà lavoro a persone disabili: produciamo erbe aromatiche e microverdure, e vendevamo con successo i nostri prodotti agli hotel, ai ristoranti e ai supermercati della Bosnia Erzegovina. Quel 17 marzo il Governo ha ordinato la chiusura di hotel e ristoranti come misura preventiva contro il contagio; e nei supermercati i cittadini, impauriti dall’arrivo della pandemia e del lockdown, hanno comprato grandi quantità di beni essenziali, riducendo drasticamente l’acquisto dei nostri prodotti. In un mese la nostra attività commerciale si è ridotta di oltre il 75%” racconta Vedad, direttore della cooperativa Greens, fondata due anni fa nei pressi di Sarajevo.
A partire da marzo 2020, la diffusione del coronavirus ha indotto i Governi della regione balcanica a introdurre misure molto rigide per frenare il contagio, un po’ come in Italia: chiusura delle scuole e delle attività economiche, divieto di libera uscita o di movimento per la popolazione, coprifuoco per gli anziani, chiusura dei confini. Così il Covid-19 ha finito per mettere in ginocchio le già deboli economie locali, ed in particolare sta compromettendo la sopravvivenza delle imprese sociali nei Balcani: le attività produttive sono state sospese o chiuse per mesi, il mercato è bloccato, l’incertezza è ancora molto diffusa.
Sono purtroppo molte le storie di imprese sociali trovatesi di colpo in crisi, in ogni paese della regione: “Dall’11 marzo abbiamo dovuto chiudere tutto: il nostro centro diurno, le attività riabilitative, le attività della azienda agricola sociale. Siamo dovuti stare a casa tutti: sia noi operatori, sia i ragazzi con disabilità. Abbiamo provato a fare almeno qualcosa online, inventando attività accessibili ai ragazzi disabili… ma non è facile” racconta padre Dimitar, direttore della cooperativa Madre Teresa, in Macedonia del Nord.
Una recente ricerca condotta dalle Caritas dei Balcani, per analizzare l’impatto della crisi del Covid-19 sulla società civile della regione, ha evidenziato dei dati molto preoccupanti proprio nel settore dell’economia sociale. La gran parte delle imprese sociali prese in considerazione, infatti, sono di recente fondazione (più della metà sono nate negli ultimi 4 anni) e non hanno ancora un solido bilancio (molte sotto i 50.000 euro annui): ovvero, sono realtà ancora fragili ed estremamente vulnerabili per affrontare una crisi economica come quella creata dalla pandemia.
Sono imprese che, prima della pandemia, riuscivano a dare lavoro a varie categorie di persone vulnerabili: disabili, persone con disturbo mentale, madri sole o donne vittime di violenza, minoranze, comunità delle periferie o delle aree rurali più disagiate. E proprio per questo motivo la preoccupazione è doppia: la chiusura di queste imprese significherebbe rigettare nella povertà persone che con fatica stavano cercando di ricostruirsi un percorso di inserimento sociale.
Oltre il 60% delle imprese intervistate dalla ricerca ha affermato di non poter sopravvivere più di 3 mesi in queste condizioni, se non verranno supportate in qualche modo: ovvero, già in autunno queste imprese potrebbero essere costrette a chiudere per sempre. “L’impatto del Covid-19 sulla nostra realtà è stato molto duro. Avevamo più di 50 impiegati prima della crisi; nel primo mese di lockdown, abbiamo dovuto interrompere il rapporto di lavoro già con 10 di loro. Adesso abbiamo dovuto fermare anche tutti gli investimenti che avevamo già programmato per il prossimo futuro: se continua così non reggeremo più di tre mesi” raccontano all’associazione Plava Ptica, nel nord della Serbia, che gestisce una cooperativa di tipo A.
Alcuni settori, come ad esempio il turismo, sono già in ginocchio. Il Ministero del Turismo del Montenegro ha calcolato che nel solo mese di giugno il paese ha registrato un -96% nel numero delle prenotazioni turistiche rispetto al giugno 2019. In altri paesi della regione a forte trazione turistica, come la Croazia, l’Albania o la Grecia, la situazione è identica: “È stato molto chiaro fin dal primo momento che qui in Grecia le conseguenze della pandemia per le imprese sociali nel settore dell’ospitalità e del turismo responsabile sarebbero state disastrose. L’epidemia di coronavirus ha colpito proprio in primavera, cioè nel periodo delle prenotazioni per la stagione estiva: nelle nostre imprese sociali turistiche tutte le prenotazioni sono state cancellate, e nessuno ha idea su quando e a quali condizioni i viaggi e il turismo saranno ancora una possibilità” racconta Stamos, responsabile del settore Economia Sociale in Caritas Grecia.
A partire da metà maggio, il lockdown nei paesi balcanici è stato gradualmente allentato, ed anche le imprese sociali hanno potuto riprendere piano piano a lavorare. Ma lo scenario che si sono trovate davanti era davvero inquietante: l’economia si era nettamente contratta, la domanda era sempre più scarsa, e gli aiuti governativi per il settore erano molto carenti, se non addirittura inesistenti.
“Il nostro bisogno più urgente in questo momento è trovare un supporto finanziario, dal governo o dai donatori privati, che ci consenta di tenere aperta la nostra impresa sociale” aggiunge Tsvetomir, direttore della cooperativa CaritArt, in Bulgaria. “Con quel supporto, potremmo riuscire a pagare piccoli ma estremamente importanti contributi alle persone vulnerabili con cui lavoriamo, e potremmo proseguire la produzione dei nostri souvenirs, anche se in maniera ridotta. Così i nostri lavoratori con disabilità, i nostri lavoratori e le nostre lavoratrici richiedenti asilo, potrebbero mantenere vivo il loro percorso di integrazione sociale”.
Ma nel settore dell’economia sociale la preoccupazione per i prossimi mesi è crescente. Proprio nei mesi estivi, in cui tutti speravano gradualmente di recuperare il terreno perduto in primavera, il contagio da coronavirus si è nuovamente diffuso in tutta la regione. E’ stato dichiarato nuovamente lo stato di emergenza epidemiologica in molti stati, è già stato reintrodotto il divieto di movimento dai paesi balcanici verso l’Unione Europea, e con esso il divieto di esportazione di beni e prodotti verso i mercati comunitari. Inoltre, il rischio di nuovi lockdown è di nuovo dietro l’angolo.
Sono molte le imprese sociali che stanno cercando di innovare i propri servizi o i propri prodotti, per poter rispondere ai nuovi bisogni del territorio e per riuscire ad operare anche in caso di nuovi lockdown.
Non è sempre facile, ma l’impegno c’è. “La stessa sopravvivenza della nostra impresa sociale è a rischio: per questo stiamo provando a cambiare il nostro modo di lavorare. Ma per evitare di perdere tutti gli sforzi e tutti i risultati raggiunti in questi anni sono necessarie anche altre misure di aiuto, urgenti ed efficaci. Sono tanti quelli che potrebbero fare qualcosa per il nostro settore: i Governi, i nostri partner, i donatori, i clienti. Dobbiamo unire le forze, e far di tutto per riattivare quanto prima la produzione: perché così ripartono anche i processi di riabilitazione e di inclusione dei nostri lavoratori vulnerabili” conclude Vedad, della cooperativa Greens.

Last modified: 15 Marzo 2021
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